Cos’è una leggenda metropolitana? È una storia improbabile raccontata così tante volte da guadagnarsi una sorta di attendibilità, spesso rafforzata da riferimenti a fatti realmente accaduti e dalla presenza di un immancabile testimone che il narratore di turno chiama in causa per rafforzare la credibilità della sua versione.
“L’amico di un amico” o un fantomatico cugino: da sempre sono loro i garanti di una vicenda straordinaria difficile da smentire dato che si è svolta in un luogo remoto, nessuno è sopravvissuto per raccontarla e, se lo fosse, se ne guarderebbe bene, consapevole che qualcuno, molto in alto, si prodiga da sempre per nascondere al mondo realtà scomode, facendo sparire chi ostacola i suoi intenti.
I complotti ci affascinano – è un dato di fatto – basti pensare alla diffusione delle innumerevoli bufale sul web che non sono altro che leggende metropolitane moderne: è confortante pensare che i segreti più torbidi di chi ha in mano il destino dell’umanità trapelino così facilmente, per questo tendiamo le orecchie quando l’illuminato di turno ci svela un evento incredibile convalidato dalla presenza di una persona fidata o clicchiamo su articoli che promettono di metterci a parte di intrighi inenarrabili.
La spasmodica ricerca di un’oscura verità che i potenti ci nascondono è alla base della celebre serie “X – Files”, omaggiata in “Banana Babol”, il racconto che chiude l’antologia e che fonde ben due leggende metropolitane: quella che le gomme di una nota marca di chewing-gum, all’apice della fama negli anni Ottanta, contengano ingredienti non ortodossi e quella che nel picciolo del frutto si nascondano sorprese assai spiacevoli.
È qualcosa di gradevole a celare un grave pericolo, che si tratti di uno snack che allieta il palato o di un gioco leggendario come “Polybius”, Sacro Graal dei collezionisti, ritirato dal mercato per non ben precisati effetti collaterali su alcuni utenti, ma forse progettato per controllare le menti dei giovani.
Imprescindibile è il legame tra questo tipo di racconto e il macabro, onnipresente in storie come “La Volga nera” che – come nel caso precedente – affianca due leggende distinte: nella Bielorussia dell’ex U.R.S.S. belle ragazze, avvicinate da una lussuosa auto, venivano rapite per il diletto dei Soviet, mentre qui – negli stessi anni – una lugubre ambulanza si aggirava in cerca di bambini da smembrare per vendere i loro organi al mercato nero. In questo genere di storie non manca il grottesco: chi non ha mai sentito parlare di una facoltosa signora in vacanza in un luogo esotico che fa carte false per adottare uno strano cagnolino e superare i controlli della dogana per poi scoprire che si tratta di un enorme ratto, portatore di un morbo sconosciuto?
Di tutt’altro tipo sono le rassicuranti bugie raccontate per rafforzare l’idea che la perdita di chi amiamo non sia qualcosa di definitivo, ne sono esempio due fra le leggende metropolitane più celebri: “Elvis” e “L’autostoppista fantasma”. Il Re è stato avvistato un po’ dappertutto dopo la sua morte e sono innumerevoli le congetture su cosa sia successo dopo quel maledetto 16 agosto del 1973, ma se il protagonista di queste fantasie è realmente vissuto ed è stato uno dei divi più amati di sempre, la ragazza innocente uccisa nel fiore degli anni che ritorna in cerca di un passaggio per riassaporare un po’ di quella vita che le è stata strappata via, incarna tutte le vittime del suo stesso destino, infatti, in tutte le varianti che ho letto, è sempre innocua e suscita malinconia più che spavento, ben diversa da “Bloody Mary”, spettro che si manifesta a comando, alla fine di un rito semplice da eseguire, ma che non è altrettanto facile annullare.
Casi a parte sono “Jeff il killer” e “Candle Cove”, due notissime “creepypasta”, ovvero, storie agghiaccianti nate sul web a opera di autori anonimi, dunque non più leggende metropolitane trasmesse per via orale e diffuse dal passaparola, ma loro parenti strette, o meglio, una loro inevitabile evoluzione.
Ciò che hanno in comune tutte le versioni originali delle storie citate è la loro brevità: in nessuna si entra mai nei dettagli della vicenda, che è liquidata in poche righe, lasciando al suo fruitore vaghe sensazioni più che un reale resoconto ed è proprio lo scopo di questa raccolta rivelarne i retroscena. Qui non troverete le leggende metropolitane che tutti conosciamo, seppur sommariamente, ma la realtà dei fatti avallata da una testimone d’eccezione: mia cugina Rila. Non deve meravigliarvi che abbia assistito a tante stranezze o sia venuta in contatto con chi le ha vissute: ha il non comune talento di trovarsi sempre al posto giusto nel momento giusto e ispira tanta fiducia da sciogliere la lingua anche ai più diffidenti. Non è raro che nelle dichiarazioni che ha raccolto le leggende più famose si mischino ed elementi di episodi che non hanno niente a che fare con la narrazione principale la contaminino, ricordandoci che il fenomeno non è circoscritto ai fatti più noti, ma che esiste un intero universo di stranezze da esplorare.
Grazie alle dettagliate cronache di Rila, adesso so cos’è successo davvero ai protagonisti di quelle storie che sono ormai parte dell’immaginario collettivo e non posso far altro che condividere questa scoperta con voi: non c’è motivo di dubitare della sincerità di mia cugina, ve l’assicuro, lei non dice mai bugie e il fatto che il suo nome sia l’anagramma di “liar” è solo una bizzarra coincidenza.